Riceviamo e Pubblichiamo:
E’ di pochi giorni orsono l’Ordinanza del Giudice Unico del Tribunale di Siracusa che ha dato un duro colpo al temerario tentativo dell’assistente sociale Giulia Cazzetta di anticipare il dubbio verdetto finale del procedimento dalla stessa aperto presso la procura di Siracusa contro la Cooperativa Provvidenza a r.l..
La vicenda in oggetto muove un castello accusatorio ordito dalla Cazzetta, per tramite il proprio legale Avv. Sebastiano Teodoro, che attraverso vere e proprie farneticazioni ha tentato di convincere il magistrato a concedere un sequestro conservativo ai danni della coop Provvidenza, sulla base di una pretesa risarcitoria per ipotetiche fantasiose minacce subite dalla stessa Cazzetta.
Purtroppo per la Cazzetta ed il suo avvocato, l’espediente non è riuscito, in quanto il magistrato ha ritenuto gli atti privi di riscontri probatori effettivi e semmai “tutta da accertare” la pretesa risarcitoria avanzata dall’assistente sociale Giulia Cazzetta.
Allo stesso modo, probabilmente finirà il procedimento penale, anch’esso basato su mere affermazioni della Cazzetta!!
In verità, il castello accusatorio messo su contro la Coop. Provvidenza ad un certo punto devia e va a concentrarsi su fatti, circostanze e persone che nulla hanno a che fare con la questione in atti tra la cooperativa “Provvidenza” e la Cazzetta.
Questione che ha portato la Cooperativa a tirare in Tribunale la Cazzetta per le condotte da ella adoperate nei propri confronti.
A propria difesa, la Cazzetta tira fuori farneticanti affermazioni, scritte e depositate in tribunale, che travalicano i limiti della decenza, del tipo:”…l’unico scopo dell’azione avversata è quello di tentare di intimidire, ancora una volta, la odierna consulente, rea di non aver favorito la Coop. Provvidenza ed i vari responsabili manovratori della stessa, che non si identificano nelle teste di legno che formalmente la rappresentano, in realtà avendo in essa forti interessi ed essendo essa gestita da soggetti ben noti nell’ambiente melillese, caratterizzato da azioni illecite e vessatorie portate avanti da pseudo-politici che sono adusi a fare terra bruciata nei confronti di chiunque osi frapporsi ed intralciare i propri illeciti disegni”.
Da quello che si evince, tali assurde farneticazioni hanno solo condotto sin qui il magistrato a rigettare l’istanza di sequestro conservativo avanzata sulla base del “nulla” dalla Cazzetta, rigetto che non potrà che ripetersi nel processo penale.
Il nodo della superiore vicenda è, piuttosto, l’aspetto vessatorio spesso insito in alcuni funzionari e dipendenti di uffici pubblici che, navigando nella più totale ignoranza, ritengono di dare risposte a proprio piacimento, spesso interpretando in maniera del tutto cervellotica gli articolati delle norme di legge riguardanti gli obblighi degli Enti stessi.
Ciò ha fatto la Cazzetta, al punto tale da indispettire gli amministratori della Coop Provvidenza e indurli a denunciarla per interessi privati in atti d’ufficio. La Cazzetta, vedendosi scoperta, piuttosto che chiedere lumi al segretario generale oppure a qualche legale del comune, come avrebbe fatto un dipendente qualsiasi di una qualsiasi azienda pubblica o privata, sentendosi in una botte di ferro, che fa? Decide di denunciare la Cooperativa e formula una assurda pretesa risarcitoria .
Tutto questo è un paradosso talmente aberrante da chiedersi, ma chi è la D.ssa Cazzetta? E perché se era minacciata, come ha sostenuto, non si è rivolta ai sindacati denunciando un eventuale mobbing?
Tutto questo non è stato fatto!! e qui, secondo noi, scatta il secondo paradosso, ossia perché il comune a questo punto non ha adottato alcun provvedimento disciplinare nei confronti della dipendente? O ancora perché il comune, nonostante le calunnie ricevute, non ha denunciato la Cazzetta? Oppure ancora perché, pur avendola distolta dall’incarico di seguire la cooperativa, non l’ha rimossa dal settore, così come avrebbe dovuto fare? Quando questa storia finirà chi potrebbe veramente pagarne le spese potrebbe essere proprio il comune di Melilli. Una storia che assomiglia molto alla sentenza Open Land di siracusana memoria.
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