I dati Inail relativi al I° quadrimestre 2015 sulle morti bianche sono terribili: da gennaio ad aprile di quest’anno sono state ben 223 quelle registrate nel nostro Paese. Una media di tre lavoratori al giorno, con un incremento del 14% rispetto allo stesso periodo del 2014. E non osiamo immaginare cosa riporterà il rapporto relativo al II° quadrimestre 2015, nel quale rientreranno, purtroppo, le morti dei giovani Giuseppe Pizzolo e Michele Assente, avvenuta ieri all’interno dell’impianto Versalis di proprietà dell’Eni. E adesso il timore dei parenti delle vittime, nonché dei lavoratori e dei cittadini della Provincia, è quello che la morte dei due operai cada presto nel dimenticatoio, e che Giuseppe e Salvatore diventino solo i numeri di una statistica. Il terrore che tutto finisca per essere avvolto nel silenzio complice di quella parte delle istituzioni e del mondo del lavoro che magari potrebbero avere un qualche interesse a mettere tutto a tacere. E infine che, paradossalmente, le colpe della disgrazia vengano fatte ricadere proprio sui due ragazzi. Non sarebbe in fondo la prima volta: è una prassi triste ma collaudata, nel nostro Paese, quella di attribuire la causa di una morte bianca all’ignoranza dei lavoratori sul funzionamento dei dispositivi di sicurezza, o alla loro negligenza. Come se fossero dei perfetti idioti con un’attitudine masochistica ed una propensione al rischio talmente alta, da mettere a repentaglio la propria vita per incoscienza o per un presunto eccesso di amore per l’azienda. Sindacati spesso latitanti o distratti, ore di lavoro massacranti, necessità di difendere il posto, licenze facili, controlli saltuari e superficiali, sicurezza violata nelle più elementari norme: sono queste, in realtà, le cause principali degli incidenti, per fortuna non sempre mortali, che si verificano nella nostra area industriale. E’ questo ciò che fra i denti denunciano anche molti operai dei vari cantieri. “Ogni tanto fanno qualche meeting sulla sicurezza”, dicono, “ma poi sul campo non viene praticato quasi nulla di quello che ci spiegano”. La sicurezza ha un costo per le ditte, meglio allora risparmiare su di essa, a rischio di qualche “danno collaterale”. A volte non ci sono le attrezzature di protezione, altre “ci sono ma sono scadenti o occorre troppo tempo per mettere in atto certe procedure, e quindi si finisce per ignorarne forzatamente qualcuna”. Magari con la garanzia da parte di qualche capo squadra menefreghista che è tutto a posto, che non c’è pericolo, o la minaccia di qualche dirigente che sostiene che bisogna sbrigarsi a finire o si perde quel lavoro. Bisogna operare a ritmi spesso insostenibili, di corsa. Non c’è tempo per la salute degli operai. La frammentazione del processo produttivo, la competizione selvaggia negli appalti, scaricata sul costo del lavoro e sulla sua sicurezza, la catena infinita degli appalti, la ricattabilità e la precarietà dei lavoratori. Conta il profitto a tutti i costi. I controlli interni? “Li fanno, ma non sempre e a volte verificano solo il tesserino, per vedere se sei in regola e se hai il casco protettivo. Ma non controllano magari se il serbatoio dove ti infilerai è stato bonificato davvero o se hai una maschera protettiva veramente efficace per quel tipo di servizio”. Anche nelle scorse settimane, quando il caldo è stato talmente soffocante che in alcuni punti della zona industriale si sono registrate punte di oltre 40 gradi, nonostante le segnalazioni di pericolo da parte della Sala Operativa della Protezione Civile e della Prefettura di Siracusa, ci sono state ditte che hanno ugualmente fatto lavorare i propri dipendenti, col silenzio complice di qualche sindacalista della domenica. E di fronte a questa cruda evidenza, molti negano e fanno gli offesi, e quando magari ci scappa il morto si stracciano le vesti e gridano allo scandalo. Ma solo per qualche ora, il tempo che si spengano i riflettori e le telecamere dopo i funerali, di asciugarsi le lacrime (di coccodrillo) e se ne tornano a farsi gli affari loro, finché tutto riparte come prima. Ma la verità è che lo scandalo è tutti i giorni, basta volerlo vedere. Basta fare dei controlli serrati, o guardare semplicemente negli occhi gli operai che vanno in cantiere ogni mattina, uccisi nell’animo dal menefreghismo di chi dovrebbe tutelarli, dal silenzio, dal ricatto. E qualche volta, dal lavoro stesso.
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